http://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/issue/feedindiscipline - rivista di scienze sociali2025-04-05T00:38:51+02:00Martina Galliufficiostampa@morlacchilibri.comOpen Journal Systems<p class="p1">La rivista vuole essere espressione di <em>libertà scientifica</em>. Libertà da cosa? In prima battuta dai processi di valutazione, anche se non dalla valutazione in quanto tale, in primo luogo quella dei nostri lettori. Il gruppo di coordinamento e, se necessario, quello dei collaboratori si incaricheranno di valutare i materiali raccolti. Intenzionalmente, non ci siamo dati comitato scientifico ed editoriale. <span class="s1">Il nome sottolinea l’intenzione di uscire dai reticoli organizzativi divenuti tipici delle riviste accademiche e dalle metodologie della loro classificazione, che spesso rendono complicate le procedure e periferico il ruolo delle redazioni e dei consigli scientifici. </span>Speriamo di fare un buon lavoro, onesto, intelligente e anche un po’ provocatorio. Ma, detto in estrema sintesi, non ci interessa la logica corrente dell’eccellenza.<span class="Apple-converted-space"> </span></p> <p class="p2">In secondo luogo, <em>libertà dai confini disciplinari</em>. La nostra è una rivista semestrale <em>open access </em>di scienze sociali: il concetto è sufficientemente chiaro da non richiedere, per lo meno in un editoriale, dotte disquisizioni. Saremo ben felici di recensire lavori interdisciplinari, che si muovono ai confini dei saperi; lavori diversamente orientati – dal punto di vista degli approcci e dei paradigmi scientifici e culturali – che affrontano i medesimi problemi; oppure, più semplicemente, lavori disciplinari che portano contributi importanti alla conoscenza della realtà sociale.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>http://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/467Per conoscere la società (post) digitale2025-04-05T00:15:35+02:00Mariella Berramariella.berra@unito.it<p>Fino agli anni 2000, pochi sono stati i libri che hanno affrontato il dibattito teorico ed empirico sulla sociologia della comunicazione redatti da autori italiani.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Mariella Berrahttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/468Guida pratica al XXI secolo 2025-04-05T00:18:46+02:00Tiziana De Carlotiziana.decarlo@studenti.unipg.it<p>Tra la copiosa letteratura sulla crisi della democrazia e dell’ordine internazionale, l’ultimo libro pubblicato nel 2022 da Ian Bremmer – politologo statunitense, già autore di numerosi libri di attualità e ospite frequente di emittenti televisive in tutto il mondo – si segnala come un testo che, in modo chiaro, ripercorre i molti elementi di crisi caratteristici del mondo contemporaneo: dai conflitti identitari alle migrazioni, dal cambiamento climatico all’avvento dell’intelligenza artificiale.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Tiziana De Carlohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/469Giovani in fuga o in trappola? Il filo spezzato con il futuro italiano2025-04-05T00:21:21+02:00Leonardo Majocchilmajocchi7@gmail.com<p>“Non sarà un’avventura, non è un fuoco che col vento può morire”, cantava Lucio Battisti nel 1969, in un’Italia che guardava con fiducia al futuro e vedeva nelle nuove generazioni il motore del cambiamento. Oggi, quel filo con il futuro sembra essersi spezzato e di quel fuoco resta solo una timida fiammella. <em>Giovani e società in Italia tra XX e XXI secolo</em>, curato da Laura Gobbi e Luca Gorgolini per il Mulino, ci offre una visione lucida e dolorosa delle trasformazioni radicali che hanno segnato la condizione giovanile negli ultimi decenni, di generazioni intrappolate in un Paese che fatica a riconoscerne il valore e le potenzialità. Il libro evidenzia chiaramente come i giovani italiani siano oggi più precari, disillusi e meno numerosi rispetto alle generazioni precedenti. È una precarietà non solo economica, ma esistenziale, sempre più cifra dell’oggi. La cosiddetta desincronizzazione delle soglie di passaggio (Galland 1993) aiuta a comprendere come i giovani raggiungano tappe fondamentali come l’indipendenza economica o la creazione di una famiglia molto più tardi rispetto ai loro genitori. Se nel 1860, a trent’anni, si era già raggiunto un traguardo importante e un secolo dopo si respirava un desiderio di autonomia, oggi quella stessa età rappresenta spesso l’incertezza. Si pensi al ritardo nell’ottenere un impiego stabile, passato dai 25 ai 30 anni negli ultimi decenni (ISTAT 2019).<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Leonardo Majocchihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/470Il momento del commiato. Ferrarotti e la sociologia che verrà2025-04-05T00:23:53+02:00Vincenzo Romaniavincenzo.romania@unipd.it<p>L’ultimo breve scritto di Franco Ferrarotti (1926-2024) si apre con una precisazione e un auspicio, espressi <em>in limine</em> a una esistenza e a una carriera sociologica eccezionalmente estese:<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Vincenzo Romaniahttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/471Economobuntocrazia e Demobuntocrazia: un’alternativa economico-politica in Africa2025-04-05T00:26:11+02:00Giada Russogiada.russo@students.uniroma2.eu<p><em>Fuga dalla Grande Colpa</em> si presenta brillante e innovativo. Si tratta di un libro che persegue differenti linee di ricerca e che, malgrado la complessità dell’indagine, restituisce al lettore una visione cristallina delle problematiche analizzate così come delle relative soluzioni suggerite. Gli ambiti presi in esame sono rispettivamente quello filosofico-politico, quello economico-sociale e quello educativo culturale. Il testo, in linea generale, denuncia la grave situazione economica in cui l’Africa si trova attualmente, e offre una via di fuga funzionale a tale difficoltà. Il punto chiave del libro è la critica feroce che l’autore rivolge non solo al colonialismo, ma soprattutto all’erede di questo fenomeno, ovvero a quello che K. Nkrumah chiama neo-colonialismo. Anche dopo le indipendenze, sostiene infatti Mussomar, l’Occidente continua a controllare l’Africa mediante una dominazione indiretta che assume le sembianze di una rinnovata colonizzazione economica. L’economia africana, dunque, a suo avviso, non è libera.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Giada Russohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/441Marianne Weber versus Max Weber. Una biografia2025-04-04T21:17:01+02:00Olimpia Affusoolimpia.affuso@unical.it<p>Il nome di Marianne Weber, meno conosciuta come Marianne Schnitger, è da sempre inevitabilmente legato a quello del marito. Secondo qualcuno, addirittura adombrato da quel genio (Adair-Toteff 2013). Il che non ha certo facilitato il riconoscimento del suo apporto intellettuale alla disciplina, né ha consentito una piena riflessione sulle condizioni di sviluppo della disciplina stessa (Grüning 2018). A ciò probabilmente ha contribuito anche il fatto che l’attività scientifica della studiosa sia stata a lungo tralasciata, mentre ne veniva enfatizzata quella di moglie dallo “sguardo devoto, ma acuto” (Piccone Stella 2006, p. 490), che si era dedicata in prevalenza a raccogliere gli scritti del marito dopo la sua morte, in opere come <em>Wirtschaft und Gesellschaft</em> (1922), per citare la più nota. Per cui, l’importanza che la Weber ha avuto nel panorama della sociologia e nella vita pubblica tedesca è rimasta a lungo in sordina. E questo nonostante Marianne avesse già pubblicato opere proprie di notevole interesse, come <em>Fichte’s Sozialismus und sein Verhältnis zur Marx‘schen Doktrin </em>(1900); <em>Ehefrau und Mutter in der Rechtsentwicklung </em>(1907a), sui ruoli della moglie e della madre nello sviluppo del diritto (che ricevette un riconoscimento importante nella recensione, seppur negativa, di Durkheim); o come <em>Die Frau und die objektive kultur</em> (1913), incentrato sulla critica alle tesi di Simmel sulla cultura femminile (Giannini 2024) e pubblicato nella stessa rivista filosofica <em>Logos</em> in cui egli aveva pubblicato <em>Weibliche Kultur</em> (1902). E benché avesse ricoperto molteplici incarichi politici, come quello di deputata al Parlamento del Baden nel 1919, contribuendo con numerosi interventi in varie conferenze e riviste femministe al dibattito della sfera pubblica tedesca sul ruolo della donna.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Olimpia Affusohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/442Popolo e classi dirigenti nella guerra moderna. Nota critica su Penser la guerre. Clausewitz di Raymond Aron2025-04-04T22:49:47+02:00Francesco Antonellifrancesco.antonelli@uniroma3.it<p>Nel panorama delle scienze sociali, Raymond Aron (1905-1983) è sicuramente una figura di primo piano. Uno studioso e un intellettuale pubblico che non solo più di altri ha contribuito ad affermare un certo concetto di canone in sociologia – si pensi, in particolare, all’impatto del suo <em>Le tappe del pensiero sociologico</em> (1965) –, ma che, soprattutto, ha indicato un metodo di lavoro nell’utilizzo dei risultati degli studi dei così detti classici della sociologia, utile, innanzitutto, all’interpretazione dei fenomeni sociali attuali. Per Aron, infatti, la lettura di Comte, Weber o Marx è prevalentemente una lettura ri-teorizzante che, a partire dall’applicazione di rigorosi canoni filologici e di storia del pensiero, approda criticamente alla loro reinterpretazione in funzione delle esigenze della teoria politica e sociale. Se Robert K. Merton (1949) distingue non solo epistemologicamente, ma anche metodologicamente il piano della “storia del pensiero sociologico” (cultura umanistica) da quello della “sistematica della sociologia” (costruzione di una teoria scientifica, cioè empiricamente orientata), Aron attraversa questi confini costruendo un terzo spazio epistemologico in cui il secondo campo – che costituisce, in ultima analisi, il fine della sociologia – può svilupparsi solo se messo riflessivamente in relazione al primo.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Francesco Antonellihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/443Durkheim. Weber. Pareto. Tre padri della sociologia nel crocevia della Grande Guerra2025-04-04T22:53:34+02:00Luca Corchialuca.corchia@unich.it<p>Il <em>Trittico sulla guerra. Durkheim. Weber. Pareto</em> è tra i migliori libri scritti da Mario Aldo Toscano. Ne avevo avuto una chiara percezione sin dalla prima lettura che risale al corso di insegnamento di Sociologia generale del 1995-96, il mio primo esame a Scienze Politiche a Pisa. Toscano era il Presidente uscente dell’Associazione Italiana di Sociologia, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali e uno studioso di storia delle idee apprezzato che, come altri della sua generazione, ha dedicato quasi l’intera attività scientifica al pensiero e all’opera dei classici. Nel 1995 aveva appena pubblicato il <em>Trittico sulla guerra</em> nella Collana Sagittari di Laterza. Assieme al manuale <em>Introduzione alla sociologia</em>, nell’edizione ampliata del 1986, al dittico <em>Marx e Weber. Strategie della possibilità </em>(1988), a <em>Divenire, dover essere. Lessico della sociologia positivista</em> su Comte, Spencer, Durkheim e Pareto (1990), e ad alcune voci del <em>Dizionario </em>di Luciano Gallino, costituiva il programma di esame e il mio primo avviamento agli studi sociologici. La mia formazione è stata indirizzata sin da subito verso gli studi di storia del pensiero sociale, anche se oggi posso dire con una certa sicurezza che questa vocazione alla critica storiografica, filologica e sistematica era già nelle mie corde. La proposta di riprendere in mano il <em>Trittico sulla guerra </em>è motivata dalla convinzione che il Seminario di <em>indiscipline</em> sia non solo il luogo dove recuperare in forme mediata la trattazione sulla guerra di tre grandi classici della sociologia: Durkheim, Weber e Pareto. Penso anche che i nostri incontri siano momenti preziosi perché rari in cui sia possibile condividere riflessioni più ampie sulla sociologia. Il libro di Toscano, infatti, ben illumina ciò che si sta perdendo oggi, ossia cosa la nostra disciplina non è quasi più in grado di fare o ha voglia di essere.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Luca Corchiahttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/444Pace con mezzi pacifici. Galtung oggi2025-04-04T22:57:30+02:00Lidia Lo Schiavoloschiavo@unime.it<p>La domanda di ricerca a cui ho inteso rispondere in questa nota critica è la seguente: quali strumenti euristici può offrire l’importante contributo della teoria della pace con mezzi pacifici di Johan Galtung per una comprensione critica del momento storico-politico che stiamo attraversando? Questo stesso interrogativo potrebbe anche essere riformulato in questi termini: qual è l’attualità del pensiero del fondatore dei <em>Peace Research Studies</em> rispetto alla ri-esplosione di gravi conflitti e alle crisi in atto nella sfera della politica globale, oggi? Per provare a rispondere a questa domanda, ho articolato una ricognizione critica di alcuni dei suoi lavori. I due testi principali che introducono all’opera di Galtung presi a riferimento in questa nota critica sono una sinossi complessiva dei suoi studi sulla pace, pubblicata, in edizione originale, nel 1996, e un testo del 1989 in cui affronta l’analisi del conflitto Israelo-Palestinese alla ricerca di una possibile soluzione non violenta, unitamente ad altri testi, che verranno via via citati. In premessa, è utile chiarire che Galtung, un intellettuale del Novecento che di quel secolo ha attraversato due guerre, la Seconda guerra mondiale e la guerra fredda non combattuta ma vinta dal blocco occidentale, in realtà ha condiviso con noi il primo quarto del terzo millennio: è infatti recentemente scomparso il 17 febbraio del 2024, all’età di 94 anni.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Lidia Lo Scihiavohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/445Tutti gli angoli delle guerre2025-04-04T23:00:27+02:00Andrea Millefioriniandrea.millefiorini@outlook.com<p>Gaston Bouthoul (1896-1980) è stato un sociologo francese che ha dedicato una parte consistente della sua attività di ricercatore allo studio della guerra e delle guerre. È stato anche colui che ha coniato per la prima volta il termine polemologia, sebbene dopo di lui non venne più molto utilizzato. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, con Louise Weiss fondò l’Istituto francese di Polemologia. La sua opera, ricca e variegata, merita di menzionare, tra le tante pubblicazioni, innanzitutto quella di cui ci occuperemo in questo intervento, <em>Les guerres, éléments de polemologie</em>, Payot, Paris 1951, successivamente ripubblicata, sempre con lo stesso editore, nel 1970 con il titolo <em>Traité de polemologie. Sociologie des guerres</em> (dal 2011 disponibile anche in italiano per l’editore PiGreco)<em>. </em>E poi ancora <em>Avoir la paix</em>, del 1967 (edizioni Grasset); con René Carrère, <em>Le Défi de la guerre de 1740 à 1974</em>, PUF, 1976; e infine, con Jean-Louis Annequin e René Carrère, <em>Guerres et civilisations: de la préhistoire à l’ère nucleo-spatiale</em>, Fondation pour les études de défense nationale, 1980, libro premiato dall’Académie Française.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Andrea Millefiorinihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/446Tra pacifismo assoluto e guerra di resistenza: il dilemma di Simone Weil2025-04-04T23:04:59+02:00Francesca Veltrifrancesca.veltri@unical.it<p>A poco più di cent’anni dalla morte di Simone Weil, avvenuta a Londra nel 1943, i suoi scritti sulla guerra tornano d’attualità: che si parli dell’Europa orientale o del Medioriente, la parola guerra è infatti uno dei termini più presenti nei notiziari e nei discorsi del mondo post-pandemia. E la guerra porta con sé dilemmi di scelta che il passato ha già conosciuto: la sinistra francese, all’interno della quale Simone Weil cresce, è costretta a chiedersi se la pace sia un valore assoluto e la guerra vada sempre rifiutata, o se si debba far differenza tra guerra d’aggressione e guerra di difesa. Se la resistenza debba essere sempre preferibile alla resa, e non viceversa. Se le scelte di campo delle nazioni aggredite possano essere una forma di giustificazione alle violenze degli aggressori. Domande che oggi torniamo a porci, sia pure in contesti diversi, e che segneranno il sofferto percorso weiliano dal pacifismo assoluto all’appoggio altrettanto convinto al governo in esilio del generale De Gaulle.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Francesca Veltrihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/447La guerra è patriarcale, lo afferma Virginia Woolf2025-04-04T23:07:36+02:00Mirella Gianninimirellagiannini48@gmail.com<p>Il testo <em>Le tre ghinee</em>, pubblicato in Inghilterra nel 1938, arriva in Italia solo negli anni Settanta, quando Virginia Woolf è da tempo una figura <em>cult </em>del femminismo italiano. Esce infatti per la prima volta nel 1975 per la casa editrice La Tartaruga, con l’introduzione di Luisa Muraro. Poi dal 1979 appaiono numerose edizioni presso Feltrinelli. Un ritratto a rapide pennellate di Virginia ce la mostra come una donna ribelle, nata nella Londra vittoriana nel 1882 e perciò educata privatamente come tutte le ragazze dell’epoca.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Mirella Gianninihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/448Tra guerra e pace. Conflitto, consenso e giochi di potere2025-04-04T23:10:48+02:00Romina Gurashiromina.gurashi@unint.eu<p>Quali sono le logiche che guidano i leader democratici nel prendere le decisioni riguardanti guerra e pace? È questo l’interrogativo che Elizabeth N. Saunders affronta nel suo ultimo libro intitolato <em>The Insider’s Game: How Élites Make War and Peace</em>.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Romina Gurashihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/449I destini incrociati di pace, democrazia ed Europa2025-04-04T23:13:38+02:00Ambrogio Santambrogioambrogio.santambrogio@unipg.it<p>Il libro contiene il corso di Filosofia del diritto tenuto da Bobbio nell’anno accademico 1964-1965 e trascritto dalle sue allieve Nadia Betti e Marina Vaciago. Il corso, dopo un’introduzione che si sofferma soprattutto sul rapporto tra guerra e diritto, si divide in tre parti: la prima dedicata al problema della guerra; la seconda alle vie della pace; la terza al problema atomico. Dopo una breve introduzione, Bobbio ricostruisce la riflessione sulla guerra identificando tre grandi modelli teorici, che si susseguono storicamente: la teoria della guerra giusta; il modello illuminista della guerra, legato alla filosofia della storia; le filosofie positivistiche.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Ambrogio Santambrogiohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/450War as education/education as war2025-04-04T23:16:04+02:00Andrea Lombardiniloandrea.lombardinilo@uniroma3.it<p>“Bad news concerns few, but good news can upset a whole culture” (p. 152). The year after the publication of <em>The Medium is the Massage</em> (1967) that started the collaboration with the graphic designer Quentin Fiore, Marshall McLuhan published <em>War and Peace in the Global Village</em>, a brilliant and quite controversial typographical experiment dedicated to the relationship of media innovation, social effects and war strategies, “with special references to education, war, clothing, games, and a few of the other more promising aspects of the other books” (Theall 2005, p. 116). Through the clever combination of images, literary fragments from James Joyce’s <em>Finnegans Wake</em> and the abundant quotation of philosophical and sociological essays, McLuhan investigates the semiotic development of war as it concerns the human craving for power and dominion.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Andrea Lombardinilohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/451Tra immaginario e critica sociale. L’utopia ecologista e pacifista di Nausicaä della Valle del Vento (film)2025-04-04T23:19:13+02:00Ilenia Colonnailenia.colonna@unisalento.it<p>Su <em>Nausicaä della Valle del Vento</em>, opera del 1984 con cui Hayao Miyazaki traspose in versione animata il suo omonimo manga, è stato scritto molto. Eppure, a 41 anni dal debutto nelle sale cinematografiche giapponesi, la storia immaginata da Miyazaki è più che mai attuale e, secondo chi scrive, certamente all’altezza di un esercizio intellettuale che voglia ragionare sui temi della pace e della guerra.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Ilenia Colonnahttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/452La guerra come stato di allucinazione collettiva2025-04-04T23:22:45+02:00Stefano Cristantestefano.cristante@unisalento.it<p>Nel 1957, la Seconda guerra mondiale era finita da dodici anni, ma le sue tragedie continuavano ad agitare i sonni di chi le aveva vissute e ne era sopravvissuto. Come Hugo Pratt, che aveva seguito da ragazzino la famiglia nel Corno d’Africa, e il cui padre, ufficiale coloniale italiano, era morto in un campo di concentramento inglese. Pratt era tornato in Italia con la madre, e aveva vissuto vicissitudini complicatissime nella patria occupata.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Stefano Cristantehttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/453(Non) c’era una volta la guerra2025-04-04T23:25:27+02:00Onofrio Romanoonofrio.romano@uniroma3.it<p>Il libro raccoglie tre saggi pubblicati parzialmente su <em>Libération</em>, prima, durante e dopo la Tempesta nel Deserto scatenata il 16 gennaio 1991 dalla coalizione guidata dagli Usa contro l’Iraq di Saddam Hussein, dopo che questi aveva invaso il vicino Kuwait nell’agosto dell’anno precedente. Baudrillard prova temerariamente a dimostrare che, sebbene dispiegata, la guerra è strutturalmente impraticabile nelle condizioni date.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Onofrio Romanohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/454Il Reddito Universale di Base: interpretazioni alternative di una proposta politica radicale2025-04-04T23:30:40+02:00Guglielmo Chiodiguglielmo.chiodi@uniroma1.it<p>I sei saggi raccolti in questa sezione forniscono, nel loro insieme, interpretazioni alternative di una proposta <em>politica</em> radicale e – al tempo stesso – anche assai controversa, quale il <em>Reddito Universale di Base</em> (RUB). L’intento principale del presente testo è quello di offrire una breve introduzione agli altri cinque, oltre che un breve profilo storico-analitico dei paradigmi economici in relazione al RUB.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Guglielmo Chiodihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/455Reddito di base: redistribuzione o re-distribuzione?2025-04-04T23:33:59+02:00Marco Boccacciomarco.boccaccio@unipg.it<p>I sistemi capitalistici si basano su un principio distributivo di mercato. Ciascun fattore della produzione viene remunerato in base a quanto è valutato sul mercato. In concorrenza perfetta questo riflette la produttività dei fattori stessi. Questo sistema viene ritenuto non solo efficiente ma anche giusto, nel senso che i fattori sono remunerati in ragione del contributo che essi apportano alla creazione di reddito e quindi al benessere collettivo. È un atteggiamento che però presenta diversi problemi. Il più ovvio è che il mercato non funziona secondo il modello di concorrenza perfetta, così che le remunerazioni non corrispondono a quanto da quel modello è previsto. In secondo luogo, riflette una logica produttivistica che assimila due concetti diversi, quello di giustizia commutativa e quello di giustizia distributiva. E questa è una valutazione di tipo etico, non di teoria economica.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Marco Boccacciohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/456Reddito di base tra crisi del lavoro salariato ed emergenza del digital labor. Un’analisi critica a partire dal volume Real Freedom for All di Philippe Van Parijs2025-04-04T23:36:58+02:00Federico Chicchifederico.chicchi@unibo.it<p>Sono oramai passati trent’anni dalla prima edizione del volume di Philippe Van Parijs <em>Real Freedom for All: What (If Anything) Can Justify Capitalism?</em>, volume che, come d’altra parte lo stesso <em>reddito di base</em>, in questi anni ha conosciuto da parte del pubblico fasi alterne di attenzione e notorietà. Come è noto a chi ha incontrato, anche solo superficialmente, il lavoro del filosofo belga, in questo testo viene formalizzata e portata a maturazione, attraverso l’introduzione della nozione di libertà reale, l’idea di una giustizia distributiva fondata sul reddito di base universale. L’argomento del volume in questione che per noi è più stringente riguarda il modo in cui Van Parijs critica l’obiettivo della piena occupazione come visione politica ed economica, giudicando tale aspirazione come quantomeno problematica, se non irrealistica, in una società che voglia puntare a e realizzare fattualmente un ideale di giustizia sociale. È su questa base e dentro tale questione che egli propone di pensare al reddito di base, come quel dispositivo capace di consentire una vita dignitosa e libera anche in assenza di un’occupazione, creando le condizioni per tutti di trovare un modo per contribuire attivamente alla società in cui si vive. L’attualità e l’importanza di questo testo e della teoria del filosofo di Lovanio crediamo insista così proprio sulla necessità (oggi davvero impellente) di poter separare la questione dell’erogazione di reddito dalla propria condizione di lavoro, essendo quest’ultima diventata negli ultimi anni palesemente incapace di assicurare, a volte anche quando non precaria, piena dignità alle persone di una comunità nazionale.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Federico Chicchihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/457Un approccio non convenzionale (neo- operaista) al reddito di base incondizionato (RBI)2025-04-04T23:39:41+02:00Andrea Fumagalliandrea.fumagalli@unipv.it<p>L’economia politica è la scienza sociale che ha come oggetto di studio il funzionamento di quel sistema economico che è sorto grazie a due avvenimenti storici fondamentali: la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese, accadimenti che non possono essere letti separatamente. La rivoluzione industriale ha evidenziato la capacità dell’attività umana di creare discrezionalmente un sovrappiù (surplus) al di fuori della sfera fisico-naturale, ovvero di essere fonte di accumulazione di capitale. La rivoluzione francese ha sancito la libertà del lavoro e quindi la necessità che il lavoro, formalmente libero e non soggetto a forme di coazione, venga remunerato in termini monetari. Nasce così il sistema capitalistico di produzione, definito anche come economia monetaria di produzione (Keynes 1973). Conseguentemente, compito dell’economia politica è rispondere a due fondamentali domande, che ne rappresentano l’essenza: 1. come si genera il sovrappiù, ovvero come è possibile che il valore di merci e servizi esito del processo di trasformazione produttivo (sia esso materiale o non materiale) sia superiore al valore degli input produttivi che lo hanno generato)? 2. una volta generato il sovrappiù, come si distribuisce tra i fattori della produzione?</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Andrea Fumagallihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/458Per una visione matura del reddito di base2025-04-04T23:42:41+02:00Alessandro Montebugnolia.montebugnoli@mclink.it<p>Molto è cambiato nella realtà economica e sociale da quando, nel 1995, l’uscita di <em>Real Freedom for All. What (if Anything) can Justify Capitalism </em>è valsa a Philippe Van Parijs la posizione di principale esponente del movimento intitolato all’istituzione di un reddito di base universale e incondizionato – e la portata di quello che è cambiato non ha mancato di influenzare il modo di guardare alla proposta. Se il libro di Van Parijs perseguiva soprattutto l’obiettivo di collocare l’idea di un reddito di base (d’ora in poi RB) all’interno di una plausibile teoria della giustizia, attualmente il dibattito si incentra piuttosto su argomenti di tipo contingente, storico-concreti, legati appunto agli sviluppi, per molti versi drammatici, intervenuti negli ultimi trent’anni. D’altra parte, il panorama delle posizioni presenti nel dibattito include anche visioni apprezzabilmente comprensive. Almeno alcuni contributi hanno infatti affermato in modo esplicito l’esistenza di <em>due</em> possibili fonti di giustificazione del RB: una a monte, sul piano dei princìpi; e una a valle, sul piano degli effetti che l’istituto può vantare, colti a ridosso delle attuali emergenze storiche. In più, mi sembra, è anche accaduto che il maggior peso assunto dagli argomenti di tipo storico-concreto non sia stato privo di conseguenze sul <em>tenore </em>della giustificazione in linea di principio, e l’abbia influenzata in modo che la stessa duplicità dei piani, pur restando tale, può essere ormai ricondotta a una comune ragione sostanziale.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Alessandro Montebugnolihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/459Il reddito di cittadinanza come dispositivo neoliberale2025-04-04T23:46:48+02:00Alessandro Sommaalessandro.somma@uniroma1.it<p>La Costituzione italiana colloca il lavoro al centro del patto di cittadinanza: parla di un diritto al lavoro, ma anche di un dovere di lavorare o quantomeno di svolgere “una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”. Certo, si tratta di un dovere assistito da molte misure destinate a tutelare la posizione di chi è chiamato ad adempierlo: occorre tenere conto delle sue “possibilità” e della sua “scelta” (art. 4) e assicurare una retribuzione sufficiente a consentire “un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36), mentre lo Stato deve promuovere la piena occupazione (art. 4) e soprattutto garantire il mantenimento e l’assistenza sociale “in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” (art. 38). E tuttavia, per quanto assistito, è pur sempre un dovere, tale in quanto costituisce la contropartita per ottenere, accanto alla protezione sociale, partecipazione democratica ulteriore rispetto a quella assicurata dalla rappresentanza politica suffragistica (Somma 2024). Se questi sono i termini del patto di cittadinanza, non stupisce se in molti lo considerano oramai difficile da adempiere, tanto da non poter più rappresentare il fulcro dello stare insieme come società.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Alessandro Sommahttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/460Tra crisi dell’ordine neo-liberale e kakistocrazia2025-04-04T23:49:29+02:00Mauro Agostiniagostini.mauro100@gmail.com<p>Di <em>incipit</em> al fulmicotone rimasti celebri, soprattutto in letteratura ma anche in qualche lavoro di saggistica, se ne conoscono diversi. Sarebbe opportuno aggiungerne un altro: “Durante il secondo decennio del XXI secolo, le placche tettoniche che strutturavano la politica e la vita americane hanno iniziato a muoversi”. Prende avvio così con questa icastica affermazione il bel lavoro di Gary Gerstle (titolo originale: <em>The Rise and Fall of the Neoliberal Order: America and the World in the Free Market Era</em>, Oxford University Press, Oxford 2023). L’Autore è professore emerito di storia americana e direttore di ricerca presso l’università di Cambridge nel ruolo (ricoperto dal 2014 al 2024) di Paul Mellon Professor of American History. Egli ha una lunga e prestigiosa carriera alle spalle, con filoni di ricerca sui temi dell’immigrazione e della razza, sull’influenza delle classi nella vita politica e sociale e in generale sui movimenti sociali. È tra gli storici americani di maggiore prestigio, insomma. Quel movimento delle placche tettoniche di cui ci parla in apertura ha generato terremoti di alta magnitudo, ancor più oggi con la rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e con la ridefinizione complessiva degli equilibri geopolitici del mondo. Intere biblioteche abbiamo ormai a disposizione sull’epilogo delle politiche neoliberiste che hanno dominato la scena negli ultimi decenni e sulle conseguenze in termini di disuguaglianze e di crisi della democrazia. Ma l’analisi di Gerstle esprime una sua originalità non solo apportando ulteriori elementi di riflessione, ma anche indicando, implicitamente, possibili traiettorie di rivitalizzazione del pensiero progressista americano e più in generale del mondo. Egli sottolinea come, per comprendere la profondità del cambio di paradigma – il declino e la crisi di un’ideologia e una strutturazione dei poteri che ha regnato per oltre quattro decenni – si debba innanzitutto prendere le mosse da una ricognizione dell’ordine a cui quello neoliberale si è sostituito, il New Deal.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Mauro Agostinihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/461L’Occidente, Gaza e la Storia2025-04-04T23:51:57+02:00Antonio Bocchinfusoant.bocchinfuso@stud.uniroma3.it<p>A più di un anno dall’inizio dell’ultimo assedio, la devastazione di Gaza continua sostanzialmente indisturbata, le vittime si contano a decine di migliaia, parlare di ricostruzione sembra impossibile. Mentre il mondo assiste inorridito e impotente al genocidio in corso, in Occidente il dibattito sembra ristagnare su questioni come il diritto a difendersi dello Stato di Israele, la minaccia dell’antisemitismo, la necessità aprioristica e astorica di contrastare il terrorismo islamico. Questa eclissi della ragione non produce solo il definitivo scollamento tra potere politico-mediatico e opinione pubblica (segnando probabilmente un punto di non ritorno nelle nostre già incancrenite democrazie), ma contribuisce all’isolamento dell’Occidente dal resto del mondo, stanco delle nostre pretese di dominio globale e intenzionato a distanziarsi dalla nostra follia guerrafondaia. In un contesto così drammatico, Enzo Traverso prova a ragionare criticamente su questa terminologia svuotata di significato, articolando una riflessione profonda sul senso del passato e della storia e sull’uso che ne viene fatto al presente. Il testo rappresenta un contributo fondamentale per chi volesse sottrarre all’isteria collettiva i problemi epocali che Gaza ci pone davanti agli occhi, imprescindibile punto di ripartenza per un dibattito costruttivo.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Antoniohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/462Autobiografia e sociologia: educazione umanistica e cosmopolitismo nelle memorie di Vittorio Cotesta2025-04-04T23:54:58+02:00Vincenzo Cicchellivincenzo.cicchelli@ceped.org<p>In questo libro autobiografico, il professor Vittorio Cotesta ci consegna ancora una volta una grande lezione di sociologia. Ho usato scientemente il titolo di professore non per deferenza – e non ci sarebbe stato nulla da eccepire, dato lo stuolo di studenti e colleghi che hanno attinto per anni a piene mani al sapere profuso da Cotesta con grande generosità, immancabile disponibilità e abnegazione, parola oggi ahinoi caduta in disuso, causa il repentino evolversi di un mondo accademico che ha smarrito i valori cardine della conoscenza come orizzonte ultimo e della formazione dei più giovani come dovere morale imprescindibile –, ma per segnalare da subito al lettore la precipua valenza di quella che poteva essere una mera testimonianza, per quanto esemplare, di una vita ricca di prove, di ammirevoli successi e amare delusioni, di grandi gioie e grandi dolori. In questa ultima fatica, licenziata alle stampe nella torrida estate del 2024, il Nostro offre un vivido esempio di una incrollabile fede nell’ideale dell’educazione intesa come elevazione intellettuale e morale, in breve come <em>Bildung</em>, che richiede impegno costante e ferma serietà. È davvero l’educazione allo spirito critico, insieme umanistico e scientifico, l’esclusivo e irrinunciabile fondamento di ogni idea di progetto democratico, di progresso sociale, di società decente. In questi tempi ridiventati di colpo bui, in cui assistiamo basiti allo straripare di un populismo demagogico e visceralmente anti-intellettuale, al ritorno di un nazionalismo e di un oscurantismo che credevamo relegati al passato, l’appiattimento della conoscenza causa il dilagare di <em>fake news</em>, fatti alternativi e post-verità, che minano con pervicace prepotenza le basi stesse della democrazia e del convivere sociale, è forse l’abbandono di questo baluardo una delle ragioni più profonde di un certo smarrimento in cui versa parte della società europea contemporanea, esposta mai come oggi alle sfide ineludibili della competizione globale.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Vincenzo Cicchellihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/463Sicurezza, diritti e umanità: perché del carcere si può, e si deve, fare a meno2025-04-05T00:04:44+02:00Alessia Francoalessiafranco1990@gmail.com<p>Possiamo fare a meno del carcere? Questo è l’interrogativo principale su cui è imperniato l’agile volume di Manconi, Anastasia, Calderone e Resta, recentemente comparso in nuova edizione aggiornata e ampliata per Chiarelettere. Gli autori e le autrici ci invitano, preliminarmente, a interrogarci sulla mera possibilità che a noi, come società, possa venire meno l’esigenza di avvalerci dell’istituzione carceraria. Si tratta di una domanda che precede e fonda ogni riflessione positiva sulla possibilità concreta dell’abolizione di tale istituzione, sul perché possa essere giusto o efficace procedere in tale direzione, o sul come si possa farlo nel nostro ordinamento. La ben argomentata risposta affermativa a tale domanda, con il suo corredo di altre domande e proposte concrete, intanto ha la virtù fondamentale di strappare l’interrogazione sull’abolizione del carcere al campo dell’utopia, per consegnarla a quello della storia e della politica. Inoltre, fin dalle prime pagine della lettura del volume <em>Abolire il carcere</em>, si dimostra chiaramente una posizione molto meno radicale – secondo certe prospettive, molto meno spaventosa – di quel che può apparire a prima vista. Se infatti all’opinione pubblica, tendenzialmente acerba sul tema del carcere in generale e ferma nel rigetto pregiudiziale della proposta abolizionista e già di molte timide proposte riformiste, la posizione degli autori e autrici del volume può risultare già rivoluzionaria nel senso meno costruttivo e più inquietante del termine, essa in realtà non è nient’altro – come recita il sottotitolo in copertina – che “una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini”.</p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Alessia Francohttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/464Limes, la geopolitica tra ordine e caos2025-04-05T00:07:06+02:00Raffaele Gorgoniragorgoni@gmail.com<p>Trent’anni e più. <em>Limes – Rivista Italiana di Geopolitica </em>si è adeguata ai tempi affiancando alla versione cartacea quella digitale e un sito che ospita video e <em>Mappamundi</em>, interviste e anticipazioni dei temi trattati in volume. Dal 2014 la redazione organizza convegni annuali su argomenti di politica internazionale fino alla creazione nel 2021 della <em>Scuola di Limes </em>per neolaureati, ma anche per manager, militari, pubblici amministratori. Per i primi vent’anni <em>Limes </em>non ha avuto uscite regolari. Alla rivista si alternavano i <em>Quaderni</em>, volumi speciali che seguivano particolari vicende. Dal 2013 la cadenza è diventata mensile.<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Raffaele Gorgonihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/465L’esilio: memoria rifondativa tra morte e rinascita2025-04-05T00:09:41+02:00Andrea Millefioriniandrea.millefiorini@outlook.com2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Andrea Millefiorinihttp://www.riviste.morlacchilibri.com/index.php/indiscipline/article/view/466L’ordine neoliberale tramonta, ma il neoliberismo sopravvive: le metamorfosi del capitalismo2025-04-05T00:12:40+02:00Laura Pennacchilaurapennacchi48@gmail.com<p>In un panorama mondiale contrassegnato da guerre, dazi e rivalità commerciali, inversioni della globalizzazione, drammatici cambiamenti ambientali, accentuata transizione tecnologica e sociale, si torna a interrogarsi, come fanno i quattro libri che qui presento, sul destino del neoliberismo e, di conseguenza, su quello del capitalismo in quanto tale. Il neoliberismo è finito o resuscita sotto mentite spoglie prese a prestito dai populismi? Il neoliberismo manifesta una perdurante vitalità sua propria oppure la trova ibridandosi con altre forme? In ogni caso, dove ci colloca tutto ciò nella parabola delle metamorfosi del capitalismo e delle trasformazioni della democrazia a esse associate?<span class="Apple-converted-space"> </span></p>2025-04-05T00:00:00+02:00Copyright (c) 2025 Laura Pennacchi